Le nostre storie

Introduzione

Valletta Paiolo

Il quartiere di Valletta Paiolo, in cui sorge la chiesa di San Pio X, prende il nome dall'antico lago artificiale denominato di Paiolo (toponimo da rimandare per l'etimologia a "parium " e al suo diminutivo "pariolum ", termini del latino medievale significanti una bassura paludosa).

Il lago di Paiolo faceva parte della cintura d'acqua intorno a Mantova documentata almeno dal secolo XII; con le opere di sistemazione idraulica attuate da Alberto Pitentino intorno all'anno 1198 per evitare inondazioni alla città e per costituire una difesa naturale alla stessa, si viene a delineare anche il lago di Paiolo. Infatti l'acqua del Mincio viene fatta deviare da porta Pradella, o meglio dal lago superiore, sulle praterie allora esistenti inondandole, per poi farla defluire nel lago inferiore al di là di porta Cerese. La distesa lacustre era controllata così che le acque non esondassero verso la città, ancora di forma insulare come forse lo era sin dall'origine. Per far sì che il livello delle acque del lago Paiolo si mantenesse in equilibrio con il livello delle acque del lago superiore e di quello inferiore, furono creati appositi manufatti che regolavano l'afflusso e il deflusso delle acque.

Il lago di Paiolo costituiva quindi sin dal secolo XII un elemento importante del complesso difensivo della città; viene mantenuto anche dai Gonzaga insieme alla articolata cinta muraria da loro fatta costruire.

Nel tardo Settecento si provvede al prosciugamento del lago di Paiolo, soprattutto per consentire lo sviluppo urbanistico alla città insulare che cominciava a sentire troppo la limitazione della cinta muraria difensiva e della cintura d'acqua troppo limitativa. La "Mappa originale della città di Mantova ", redatta nel 1778durante la dominazione austriaca, nonostante sia concentrata sulla illustrazione della realtà urbana, permette, fra l'altro, di rilevare gli inizi del prosciugamento per la raffigurazione di una parziale canalizzazione delle acque, al posto della distesa lacustre..

L'operazione nel tempo determina una modifica nella raffigurazione di Mantova che da città insulare diventa una penisola proprio per l'interruzione di quella cintura d'acqua garantita dal lago di Paiolo.

Nel trascorrere del tempo sul fondo paludoso e acquitrinoso di quello che era stato il lago, il Comune di Mantova provvede ad interramenti con il deposito di materiali provenienti dalle demolizioni delle mura, dei bastioni e di quant'altro costituiva la cinta difensiva di Mantova, divenuta troppo opprimente all'espandersi della città ottocentesca. All'inizio del Novecento, sul terreno del Paiolo, si cominciano a delineare le prime strade, un passo per quello sviluppo edilizio che esploderà tra gli anni sessanta e settanta del Novecento, secondo una tipologia insediativa prima della villetta poi del condominio. La costruzione dell'Ospedale Civile (dopo il 1928 e agli inizi degli anni trenta del Novecento) può considerarsi la spinta propulsiva al fervore edilizio che collegherà il centro storico della città con il nuovo quartiere residenziale di Valletta Paiolo.

La costituzione della nuova parrocchia

Il decreto di erezione della nuova parrocchia di San Pio X in Mantova è stato emanato dal vescovo di Mantova, mons. Antonio Poma, ed è datato 1955, 3 settembre. Il documento, redatto in latino, attesta che, essendo aumentato il numero di fedeli nel territorio chiamato "Valletta Paiolo" , fra l'altro destinato ad ulteriore sviluppo, per il bene delle anime, sentito il parere del Capitolo della Cattedrale e (lei parroci della città, viene concesso che sia istituita una nuova parrocchia intitolata a San Pio X papa, "olim veneratissimo Mantuano Episcopo" , e che si costruisca la chiesa sotto lo stesso titolo con gli edifici e le opere parrocchiali. Vengono pure indicati i confini della nuova parrocchia, allora molto più estesi di quelli attuali.

Al 13 gennaio 1957 risale il decreto del Presidente della Repubblica italiana, Giovanni Gronchi, con cui si riconosce la parrocchia di San Pio X a tutti gli effetti civili con la dote e la circoscrizione territoriale indicate nel decreto dell'Ordinario Diocesano di Mantova.

Non c'era ancora la chiesa, ma era stato nominato il parroco nella persona di don Giuseppe Ferrari, che, proveniente da Quistello, va ad abitare provvisoriamente in viale Gorizia per essere più vicino ai nuovi parrocchiani; in quei primi anni era coadiuvato prima da don Bruno Melegari poi da don Carlo Ziliani. E così, dal 1955 al 1958, iniziano la vita liturgica della neonata comunità parrocchiale di San Pio X e l'attività dell'oratorio, ma a Borgo Pompilio, in ambienti appartenenti alle Ancelle della Carità (un vecchio edificio che doveva sorgere dove è attualmente la clinica di San Clemente, all'incirca sulla sinistra dell'ingresso all'attuale parcheggio).  In data 25 ottobre 1955, la "Gazzetta di Mantova" trasmette la notizia che la vita della nuova parrocchia è iniziata con l'apertura del registro dei battesimi su cui viene apposto il primo nome. Il cronista precisa anche che il rito del battesimo è stato celebrato in quello che era asilo delle Ancelle della Carità, nella chiesetta dove è "stato collocato l'altare sul quale celebrava la messa monsignor Giuseppe Sarto quando era vescovo di Mantova". In data 1956, 20 dicembre, un atto notarile sancisce la donazione di terreni per la costruzione della chiesa e degli edifici adibiti ad uso del ministero pastorale, di ufficio e di abitazione del parroco da parte del cav. Luigi Bianchi (fu Paride), titolare dell'industria LUBIAM, al parroco don Giuseppe Ferrari. La cessione gratuita da parte del Comune di Mantova di altri terreni per la nuova chiesa parrocchiale di San Pio X (era sindaco Eugenio Dugoni) completa l'area disponibile. Nel frattempo l'architetto Bruno Sarti provvede alla costruzione della canonica in cui un salone viene adibito alle funzioni liturgiche in attesa che venga costruita la chiesa. Rende l'idea di questa provvisorietà uno scritto di don Giuseppe Ferrari in data 1959, 20 gennaio, nel quale si chiede la concessione di un prestito per installare il riscaldamento e permettere al parroco di abitare presso la chiesa.


L'intitolazione a San Pio X

La nostra chiesa parrocchiale è intitolata a San Pio X, papa e santo, ma anche vescovo di Mantova dal 1884 al 1893. Nato in provincia di Treviso, a Riese, nel 1835, dopo essere stato ordinato sacerdote, si dedicò con grande impegno all'esercizio del ministero spirituale. Fu nominato vescovo di Mantova il 10 novembre 1884. Si dedicò particolarmente al Seminario, al catechismo nelle parrocchie e alla formazione del clero; favorì l'azione cattolico-sociale e compì due visite pastorali nelle parrocchie mantovane. Si distinse per la pietà, lo zelo pastorale e la carità verso i poveri. A lui si deve l'organizzazione delle celebrazioni centenarie di Sant'Anselmo (1886) e di San Luigi Gonzaga (1891). Celebrò il Sinodo nel 1888, a 170 anni dall'ultimo.

Patriarca di Venezia dopo l'elevazione alla porpora, mons. Giuseppe Sarto rimase a Mantova fino al 1895 e mantenne l'amministrazione della diocesi di Mantova fino al 1896.

Fu eletto papa nell'anno 1903.

Prese a programma del suo pontificato il motto paolino "INSTAURARE OMNIA IN CHRISTO " e lo attuò con fermezza e coraggio. Ristabilì la comunione per i bambini, amò sempre la povertà e combatté gli errori del modernismo.

Morì il 20 agosto 1914; fu canonizzato il 29 maggio 1954.

In Vaticano, nella basilica di San Pietro, prima dell'altare dell'Immacolata, a sinistra, si può ammirare il monumento che celebra San Pio X. E a Mantova, in Duomo, nella cappella a lui dedicata, prima dell'ingresso al vestibolo che conduce all'Incoronata, un quadro di Alessandro Dal Prato lo raffigura con tutti i segni della sua vita pastorale e di pontefice.

LA CHIESA SANTUARIO DI S.PIO X

Il progetto

La prima pietra della chiesa parrocchiale viene posta nel 1955, 12 aprile.

Già nel febbraio del 1954 l'architetto incaricato, Bruno Sarti di Sermide, aveva redatto il progetto dell'edificio ecclesiale e di tutti quegli insediamenti che dovevano garantire la vita della nuova parrocchia nella vastità dell'area pervenuta dalle donazioni citate.

L'onere di spesa preventivato deve però essere stato superato in fase di attuazione dei lavori della chiesa, perché la realtà pervenuta poco corrisponde al progetto globale studiato e approvato dalla Pontificia Commissione Centrale per l'Arte Sacra nell'ottobre 1955. Comunque al 1960 risale la dichiarazione di agibilità della nuova chiesa, documento firmato dal sindaco di Mantova, Grigato. Sempre in quell'anno, 1960, il sabato 1 ottobre, alle ore 17, il Vescovo Antonio Poma benedisse il Santuario S.Pio X e consacrò l’altare maggiore della chiesa. Il giorno dopo, domenica 2 ottobre, il Card. Ernesto Ruffini, assistito dai vescovi Poma e Bertazzoni, accompagnò solennemente, con corteo di automobili, la reliquia di S.Pio X, dono del S.Padre Giovanni XXIII, dalla Cattedrale al Santuario, dove celebrò i Vespri Pontificali con il canto del “Te Deum”. 

 Il vescovo dona il tabernacolo dorato, mentre i sacerdoti della diocesi di Mantova offrono l'altare in marmo di Candoglia, proveniente dalle cave di marmo della "fabbrica" del Duomo di Milano.

In cinque anni si è arrivati dunque alla chiesa santuario dedicata a San Pio X.


L'architetto Bruno Sarti aveva ben presente la vastità dell'area a disposizione (circa mq. 8700) per la nuova parrocchia di Valletta Paiolo; per la sua progettazione si trovava quindi nella situazione privilegiata di poter articolare tutte quelle realtà necessarie per soddisfare le esigenze della vita parrocchiale. L'area era infatti estesa, libera, senza che alcun costrutto precedente ponesse delle limitazioni. Nella relazione del progettista sono elencate le opere edili previste con relative aree verdi o cortive, accompagnate dall'indicazione della cubatura da occupare. I disegni conservati nell'archivio parrocchiale danno un'idea della ampiezza della visione progettuale. Oltre all'area destinata alla chiesa e al campanile, si era tenuto conto anche della scuola per la dottrina cristiana con annesso giardino, della casa parrocchiale dotata di giardino e cortiletto di servizio, dell'abitazione per il sagrista con relativi orto, giardino e cortile, ma anche del cortile di ricreazione per i maschi (mq. 2400) differenziato rispetto a quello per le femmine (mq. 950). Altre superfici erano previste per il piazzale e gli ingressi principali, per l'eventuale teatrino parrocchiale con annesso giardino e per un altro cortile verso nord. Un muretto bianco di poco più di due metri doveva recintare il complesso degli edifici di pertinenza della nuova parrocchia

Nella relazione dell'architetto Sarti si colgono interessanti osservazioni sul terreno su cui si doveva andare a costruire "è basso e avvallato, ma le strade sono sopraelevate di oltre due metri e mezzo. Questo dislivello, nelle costruzioni in genere, viene sfruttato con un piano scantinalo per i servizi che i conseguenti rinterri finiscono poi per sommergere portando il terreno a condizioni del tutto normali ". E infatti il dislivello fra il piano di campagna allora esistente e quello stradale farà pensare a situazioni di sfruttamento per la progettazione della cripta, per sale di riunioni o di ricreazione, nonché al vano per l'impianto di riscaldamento. Nell'archivio parrocchiale si conserva una nota di spese a tecnici incaricati dal Genio Civile per i lavori "d'assaggio del terreno ", un sopralluogo necessario prima di procedere ai lavori, data la storia del costituirsi di valletta Paiolo. Nella relazione l'architetto Sarti evidenzia che tutto il terreno di proprietà della parrocchia è caratterizzato da una forte depressione particolarmente accentuata proprio là dove si prevedeva la costruzione della chiesa.

Si pensi che il dislivello, rispetto al piano stradale, era di circa due metri e che le terebrazioni effettuate dagli operatori del Genio Civile nel luglio 1956 avevano rivelato la consistenza della natura del terreno, fra l'altro dichiarata poco idonea alla fabbricazione sullo stesso. Può risultare interessante conoscere i risultati dei tre sondaggi effettuati che avevano portato a decifrare i seguenti strati di terreno: ad 1 m. terreno vegetale, a 2 m. l'argilla, quindi erano state riconosciute sabbia argillosa, ancora sabbia, poi a 5 m. nel sottosuolo sabbia mista e ghiaietta minuta, ancora sabbia rossiccia, sabbia grossa pulita, ancora sabbia sino al rinvenimento a 12 m. di profondità di sabbia grigia più o meno fine. Si è voluto proporre questa sommatoria dei tre carotaggi, senza elencarli in maniera distinta ma unendo le voci più significative sui diversi livelli del sottosuolo, perché nell'insieme danno un'informazione sulla natura del terreno in prossimità della chiesa, un esempio di quanto riscontrabile nel sottosuolo di quasi tutta Valletta Paiolo, dopo il prosciugamento e il riempimento del lago omonimo. Di conseguenza ne scaturiva la necessità che, per edificare, occorreva ricorrere al sistema delle palificazioni; infatti l'architetto Sarti adotta per la chiesa un sistema di palafitte in cemento armato centrifugato.

La struttura dell'edificio ecclesiale era prevista in cemento armato e muratura di mattoni; nelle pareti esterne si doveva mantenere la cortina di mattoni a faccia vista con giunti sigillati, soluzione considerata ottimale per l'ottima qualità del laterizio mantovano. La copertura era di capriate sempre in cemento armato mascherate da una controsoffittatura in lastre di particolare materiale, funzionale anche per l'insonorizzazione dell'interno

Se queste osservazioni corrispondono abbastanza con l'esistente, trascuro tutto quanto riguarda l'interno perché troppo distante da quanto poi realizzato. L'abside curva a catino, le colonne istoriate, le corsie laterali con soprastante galleria, le pareti intonacate e affrescate, il diverso e frequente impiego di marmi e quant'altro sono rimasti solo nell'idea del progettista che, fra l'altro, non esitava a dichiarare che "La chiesa nel suo insieme ricalca le forme tradizionali con particolare simpatia al romanico lombardo e conserva l'attaccamento alla tradizione anche in molti elementi di dettaglio...". Una particolare attenzione era riservata alla luce, una luce diffusa e mitigata nella navata e nel transetto, più intensa invece nel presbiterio e a spiovere sull'altare maggiore. Si pensi che l'abside doveva essere tutto decorato a mosaico o quanto meno ad affresco e che su tutte le pareti interne della chiesa, compresa la progettata copertura a volta, erano previsti dipinti. Inutile dire che l'ambizioso progetto non venne mai interamente realizzato.

Altri disegni eseguiti dallo stesso architetto, ma anche dall'impresa Saccardo e dall'ingegner Tartaglia mostrano talune modifiche sopravvenute in fase d'opera. E si tenga pure conto delle difficoltà economiche, delle varie richieste di prestito avanzate intorno agli anni settanta dall'allora parroco don Giuseppe Ferrari per ultimare la chiesa e per assegnarle una definitiva sistemazione (abside, bracci laterali, riscaldamento, salone parrocchiale nello scantinato della chiesa). Le difficoltà economiche avevano portato, sin dall'inizio, a sollecitare al motto "100 lire per un mattone " tutti i fedeli della diocesi a dare un contributo di 100 lire così da essere compartecipi della costruzione non solo di una nuova chiesa, ma soprattutto del santuario, una realtà appunto diocesana.

L'architettura esterna

Sinteticamente si può parlare dell'architettura della chiesa come di un esempio di architettura minimalista, comunque di un esplicito manifesto del modo di intendere l'arte del costruire nell'immediato dopoguerra. Sarti sceglie in gran parte la muratura in mattoni sia pure alternata sui fianchi a parti intonacate, prediligendola a qualsiasi effetto di levigatezza e inconsistenza. II disegno della facciata è sobrio nella dignità e nella povertà dell'insieme, negli speroni laterali e in quella pensilina lontanamente evocatrice dell'antico protiro romanico. Al di là di ogni forzata evocazione, nella partitura di facciata si impone la sovrapposizione di due blocchi: abbastanza slanciato quello superiore in gran parte con paramento murario a mattoncini a vista e coronamento a due falde, particolarmente espanso quello inferiore tutto intonacato. La lunghezza che lo fa protendere al di fuori del corpo di facciata è così accentuata non solo per una scelta architettonica e di linee, ma anche per un'esigenza funzionale; infatti nella sua forma a ventaglio segue e nel contempo occlude i due vani interni destinati a battistero e a reliquiario; lascia appena intuire, oltre la gradinata, le aperture d'ingresso laterali ed evidenzia, al centro, la grande vetrata che immette in navata. Una attenzione alle linee che lo qualificano, dimostra lo studiato collegamento con la parte superiore e il voluto disegno aperto a ventaglio sembra accompagnare l'accoglienza per chi entra.

Nel corpo superiore che si chiude "a capanna " viene ripreso, appena al di sotto del colmo, una parte intonacata in cui si distingue una croce di un granigliato più grosso di quello dell'intonaco così da suggerire l'idea di un sottile rilievo dal piano di fondo.

L'edificio della chiesa presenta nel complesso un aspetto formale ricco di dettagli interessanti che sembrano tradurre quel pensiero dell'architetto Sarti di non volersi troppo discostare dalla tradizione. Le murature delle pareti esterne presentano tutt'intorno un'alta zoccolatura di mattoncini pieni; la parte superiore, intonacata, è scandita in sei partiture da pilastrate che fungono da contrafforti. Le pilastrate, legate strutturalmente alle travature orizzontali, aggettano su entrambi i fianchi; nei comparti intermedi determinati dalla loro scansione si aprono, in alto, le aperture rettangolari che danno luce alla chiesa, collocate così in alto dal progettista per non disturbare la vista dei fedeli. La continuità del paramento esterno viene infranta in corrispondenza dell'abside con chiusura rettilinea. Due speroni inquadrano la parte tutta intonacata con intonaco a graniglia; si riconoscono le lunghe fasce rettangolari delle vetrate e, in alto, la riproposta della croce già segnalata in facciata.

All'esterno, al di là del corpo di navata e quindi verso il presbiterio interno, si osservano volumi aggettanti rispetto alle pareti; oltre alla sagrestia, ospitano locali con diverse funzionalità per la chiesa. Nella muratura esterna corrispondente al vano caldaia e alla sagrestia si può osservare che il paramento murario a mattoncini si concede un intervallo lasciando spazio ad elementi traforati, in parte di ornato, soprattutto funzionali per immettere luce e aria nei locali interni.


L'interno

L'interno si caratterizza in un'unica ampia navata in cui si ripropone la scansione delle pilastrate rilevate all'esterno, che determina una sequela di rientranze appena accennate. Ai lati dell'ingresso si squadernano, come rilevato nell'avancorpo di facciata, due vani che si aprono di fronte agli ingressi laterali. La luce penetra dalle aperture posizionate in alto sulle pareti laterali. In controfacciata, così come nel battistero, vetrate istoriate lasciano filtrare la luce dalle sfaccettature colorate mentre dall'abside a chiusura rettilinea le vetrate colorate e dipinte immettono fasci di luce sommessa e diversificata.  Nei rincassi delle pareti laterali sono collocati i pannelli dipinti che propongono le stazioni della Via Crucis: sono elementi dell'arte del Novecento presenti nella chiesa di San Pio X di cui si discorrerà a parte.

Procedendo dalla navata verso il presbiterio, si percepisce che l'abside è di larghezza minore di quella della navata per una leggera convergenza di linee all'inizio del presbiterio, linee che poi si dilatano ai lati dell'altare in due ambienti aperti verso il presbiterio a mo' di croce, progettati per una destinazione a cappella e per ospitare il Santissimo. Dal vano di destra, guardando l'altare, si entra nella sagrestia; prima del presbiterio sono aperti due ingressi, verso l'esterno, per usi diversi. La posa in opera del pavimento con lastre di marmo ondagata viola risale al novembre 1960.

La trasformazione dell'interno (1986)

Con il passare degli anni, l'interno cominciava ad avere bisogno di manutenzione; ma il ripristino degli intonaci e il rifacimento della coloritura, anche considerate le dimensioni della chiesa, comportavano un onere di spesa considerevole; una spesa che in fin dei conti non avrebbe cambiato di molto quell'aspetto desolante che aveva suscitato in alcuni il paragone con un mercato ortofrutticolo o quant'altro. Interpellato dal parroco don Ulisse Bresciani, l'architetto Adolfo Poltronieri, nel 1986,

progetta un intervento tale da non intaccare o alterare le strutture portanti o comunque quelle già esistenti, ma tale da modificare radicalmente l'interno della chiesa: praticamente pensa ad un ridisegno dell'interno. Il progettista ha presente due necessità: cambiare la forma dell'interno ecclesiale e tenere le luci dalle aperture esistenti. Il cambiamento della forma non doveva essere un fatto casuale, ma nascere da un'unica idea progettuale e da un'evocazione culturale di sintesi (dal romanico, al gotico, al rinascimento).

La si può leggere con chiarezza osservando l'andamento strutturalmente effimero del carton gesso armato, ancorato alle pareti. Partendo da una volta in cui l'andamento archiacuto rimanda con evidenza al gotico, l'architetto ha immaginato di avere a disposizione "un foglio " da dover ritagliare o ripiegare per seguire il preesistente senza nulla aggiungere nelle dimensioni.

La cripta

Dal fianco sinistro della chiesa e verso la canonica si scende nella cripta. E' un unico vano in cui le linee perimetrali, con andamento convergente appena delineato, conducono alla navata e al presbiterio. Due grossi pilastri sono elementi portanti della chiesa grande superiore; i tre pilastri per parte all'interno della navata reggono la soffittatura piana della cripta.

Le pareti del presbiterio sono impreziosite dalle quattro vetrate istoriate di Lino Dinetto; tutta la parete di fondo, a lato dell'ingresso, propone un affresco dello stesso artista che, in basso e a sinistra, ha lasciato incisa la propria firma con la data 1967. Nell'ampia partitura figure di angeli seduti sono dipinti con delicate cromie in una teoria di tre per parte; mentre i due alle estremità della panca sono intenti a suonare, gli altri cantano. Al centro, altri due angeli si mantengono in aria a sostenere il libro aperto sulle parole con cui inizia il Salmo 95 "CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM ". Al di sotto, sempre al centro, si distingue l'epigrafe incisa che ricorda i committenti degli ornati della cripta: "A SAN GIULIANO EYMARD / E' DEDICATO QUESTO SACELLO / CHE LUIGI ED EDGARDO BIANCHI / ORNATO VOLLERO / IN MEMORIA DEL FIGLIO E FRATELLO / GIULIANO / MCMLXVII ".

Ecco allora che il "foglio ", in corrispondenza delle aperture per far entrare la luce, si squaderna verso l'alto, ma, pur ritagliato, continua per dare origine ad un'altra forma che rimane dischiusa perché "il foglio " deve ridiscendere e seguire l'andamento delle pareti, coprire le lesene, ripiegarsi all'interno delle pareti scandite dalle lesene stesse. E in fondo, in controfacciata, la forma rinascimentale di uno pseudo abside conclude il riecheggiamento culturale, senza però che la forma si chiuda per congiungersi ad esso: questa forma arcuata è un punto fondamentale di riferimento perché aiuta a capire l'andamento di quella volta che è rimasta aperta. Dal gotico al rinascimento, un foglio tagliato e ripiegato e l'architetto Poltronieri ha delimitato l'interno con un involucro non in muratura, ma in carton gesso "ritagliato e plasmato da un'unica superficie senza aggiunte ", senza nulla togliere al preesistente, tuttora visibile.

E così con la drastica trasformazione era nata una struttura effimera densa di semplicità e di lontani echi culturali.

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